Richard Meier, l’architetto che plasmò l’Ara Pacis impreziosisce il giardino dell’Approdo del Re con un pensatoio

Linee pulite, volumi pieni ed essenzialità. Sono solo alcune delle caratteristiche dello stile dell’architetto americano, simbolo del neo-razionalismo. Meier, è protagonista indiscusso dell’architettura internazionale con opere intramontabili in cui il bianco esalta le funzioni dei volumi. Una sua opera è presente anche nel giardino dell’Approdo del Re. Si tratta di un pensatoio,  una seduta in travertino dalle linee morbide e fluide, un angolo privilegiato in cui fermarsi a pensare in cerca di ispirazioni e progetti. Nato a Newark (New Jersey) il 12 ottobre 1934, è indicato spesso come il più classico tra gli eredi della lezione modernista e, in particolare, dell’opera di Le Corbusier, maestro conosciuto durante uno dei frequenti soggiorni dell’architetto americano in Europa.

Gli esordi 

Il suo debutto nel mondo dell’architettura avviene con la progettazione di una serie esemplare di case unifamiliari, che gli procurano l’attenzione della critica: tra queste, l’abitazione per la propria famiglia a Essex Fells (1965); la Smith House a Darien, in Connecticut (1965-1967), che segna il debutto di un processo progettuale basato sulla contrapposizione di componenti opposte ma in equilibrio, come forma e struttura, arte e tecnica, e che introduce il tema della memoria intesa come invenzione mai abbandonato da Meier; la Hoffman House (1966-1967) e la Saltzman House (1967-1969), entrambe a East Hampton. La residenza per i Saltzman, in particolare, è il primo manifesto di un’architettura fortemente plastica, in cui viene pienamente giocata l’antitetica partita tra pieno e vuoto, tra statico e dinamico, a partire da una pianta quadrata e funzionalmente organizzata in uno schema chiaramente leggibile dai prospetti e dai volumi esterni, come la grande vetrata a doppia altezza che mostra la posizione del soggiorno. Nel 1969 entra a far parte della mostra intitolata “Five architects”, tenutasi al Museum of Modern Art di New York che presentava al pubblico oltre ai suoi lavori anche quelli di Peter Eisenman, Michael Graves, Charles Gwathmey e John Hejduk, con i quali va a formare una sorta di circolo intellettuale, basato sulle collaborazioni in ambito accademico e sulle affinità elettive dei membri, che somigliano quasi ad un romanticismo politico. L’interesse suscitato dagli esordi di Meier è poi confermato dalla Weinstein House a Old Westbury di New York (1969-1971) e dalla Douglas House a Harbor Springs, in Michigan (1971-1973) con quest’ultima spesso considerata omaggio alla celebre Falling Water House di Frank Lloyd Wright

I grandi progetti: l’Atheneum di New Harmony e il Getty Museum di Los Angeles

L’Atheneum di New Harmony, in Indiana (1974-1979) è un’architettura celebrativa a plurima destinazione, votata alla pubblica fruizione, che ben rappresenta l’approccio di matrice cubista basato sul movimento e sulla rampa con effetti tridimensionali, ereditato da Le Corbusier. Si tratta di uno dei primi esempi, insieme al Bronx Center, dell’interesse di Meier a sviluppare un rivestimento “totale”, realizzato in candidi pannelli metallici prefabbricati, che riducono al minimo le possibilità di imperfezioni esecutive e sostituiscono l’estetica più rustica, tipica del New England, delle assi in legno verniciato che caratterizzano le case in quel periodo. Il Getty Center di Los Angeles realizzato tra il 1985 e il 1997, è l’acropoli dell’arte contemporanea costruita sulla collina di Brentwood, in cui si sublimano riflessioni sugli schemi insediativi delle città collinari dell’Italia centrale e sullo sviluppo a padiglioni distinti della Villa Adriana di Tivoli, dalla quale prende spunto anche per l’uso del travertino, un elemento spesso utilizzato dall’architetto che anche nella nostra dimora ha lasciato, con la sua seduta, la sua traccia inconfondibile.  Sequenze di cortili, angoli per la meditazione, belvedere affacciati sulla città, il Getty è stato descritto dallo stesso Meier come un’architettura emozionale:

 “Non c’è uno spazio che definisca il Getty. Dipende da come ti senti”

L’Ara Pacis un progetto all’insegna della preesistenza storica

Nel 1996 l’architetto americano progetta il Museo dell”Ara Pacis”, in cui il tema fondamentale è il rispetto della preesistenza storica, espresso anche dalla magnificenza con cui è stato utilizzato il travertino, proveniente da Tivoli, una città che più volte è stata fonte di ispirazione per Meier.. Il museo, infatti, racchiude l’altare della Pace di Augusto, risalente al IX secolo avanti Cristo, che viene avvolto da una scatola in vetro e pietra organizzata su due livelli. Si entra nell’edificio da un atrio profondo, coscientemente tenuto in ombra. La sala con l’altare si apre sui due lati lunghi con pareti di vetro verso la città. L’altare vero e proprio, ricoperto di bassorilievi marmorei, è illuminato dalla luce naturale dall’alto e da un gran numero di faretti alogeni montati in nicchie del soffitto in cemento armato a cassettoni.

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